Del titolo (che precede il programma
televisivo e dunque non è certo ammiccamento di massa) Marje Dolores parlò a Uno mattina, nel
2005: si tratta della serata del 2002, data dell’incontro dell’autrice con il poeta
Mario Luzi, in una notte stellata in Toscana.
Le altre pubblicazioni dell’autrice
sono in prosa; si tratta di due raccolte di favole:
- L’Ammazzasette e il
drago con le pantofole di velluto rosso ed altre favole, 2010
- Scontentino e il
Maghetto e altre favole, 2015.
Le poesie che ho scelto per la mia
analisi sono 9, tutte, peraltro, reperibili in internet, su Youtube, nella
lettura e nell’interpretazione (quant’altre mai calda ed espressiva) del prof. Mario Gugliuzza
da Castelbuono.
Che
cosa accomuna queste poesie, tra loro e con le favole? Il vigoroso senso della
natura e dell’importanza della sintonia tra uomo e natura. In questo caso, la
vivida fede cattolica dell’autrice è ancora più evidente che nelle favole, ma è
anch’essa, come credo di dimostrare nel commento delle poesie, un tutt’uno con
l’amore per la natura. La natura non è altro che la manifestazione di Dio e il
rapporto di sintonia tra uomo e natura mi pare omologo a quello tra gli uomini
tra loro e tra gli uomini e Gesù.
Un
altro tema portante di queste poesie è l’apparente assenza di dialogo. Quasi
nessuna delle poesie, infatti, si rivolge a un Tu concreto, personificato, a
meno che il Tu non siano Gesù o Dio e ad eccezione dell’unica poesia
integralmente dialogica, più piece teatrale
che poesia, vale a dire La mamma di Giuda.
Come vedremo, è un dialogo anche una poesia centrale della raccolta, Il risveglio della
sirenetta, anch’esso un dialogo tra madre e figlia. L’altra parziale
eccezione è Presidente,
hanno ammazzato mio figlio! Ebbene, secondo me la scarsità dei dialoghi è
solo apparente (cioè, intendo dire che il dialogo c’è, ma non si vede, anche
nelle poesie monologiche), perché in realtà è sempre soggiacente il dialogo
dell’autrice con la natura. La natura è la vera protagonista di tutte queste
poesie, insieme con l’io narrante. La natura si manifesta in vari elementi,
nelle diverse poesie: il cielo, l’acqua, le foglie, il vento, i fiori, i
colori...
L’altro
elemento, il terzo, dopo Dio/Gesù e la natura, è
costituito dai bambini:
i bambini svolgono un ruolo essenziale nella produzione dell’autrice, non
soltanto nelle favole, ma anche in queste poesie. Quasi sempre compare un
bambino. E questo lega strettamente l’opera alla vita privata e professionale
dell’autrice, che della cura dei bambini ha fatto una ragione di vita. Il
quarto elemento è costituito dai reietti, dagli ultimi, dagli
esclusi: Giuda, i poveri, i migranti, le prostitute, i “cattivi”.
Che
cosa lega tutti e quattro questi argomenti? Evidentemente l’amore, tanto da
farli sembrare tutti sottoelementi di un unico macroelemento, l’amore, che è il
vero protagonista assoluto delle poesie di Merenda.
Ma la
cosa interessante è questa: nessuna delle poesie parla espressamente d’amore,
eccetto forse l’amore materno della Mamma di Giuda.
Eppure, leggendole tutte, il lettore ha l’impressione che si tratti di un
canzoniere d’amore: amore per la vita, per Gesù, per la natura.
A
questo punto, per scendere dal generale della raccolta al particolare dei
singoli componimenti, commenterò 9 poesie. Si tratta di un campione pari a
circa un sesto dell’intera raccolta, che conta 51 poesie in totale.
Come
tutte le raccolte di Marje Dolores Merenda, anche questa è bilingue, con testo
inglese a fronte, a opera di Sophie Stockbridge
con la supervisione e le premesse della professoressa Cinzia Donatelli
Noble della Brigham Young University di Provo (Utah).
- La mamma di Giuda:
p. 26. Mamma
(allocutivo) e non madre.
La poesia fin dal titolo vuole evocare amore, non punizione. Madre, anziché mamma, compare,
nella poesia, sempre con finzione di allocutivo, pronunciato da Giuda, ma lì lo
stile deve essere solenne, da dramma teatrale sacro, per questo madre è più
appropriato, mentre mamma
avrebbe abbassato il tono. Ma il mamma nel titolo
ci fa capire che il punto di vista è dal basso, non dall’alto, è quello di
Marje Dolores, poeta e mamma, che vuole
dare tutto il peso a quella parola.
Questa poesia, come si diceva,
contiene l’unico vero dialogo di tutta la raccolta, con un Tu che non sia la
natura. Ma anche qui compare la natura: agnello, lupi, pecorella, albero (strumento
della predestinazione) e terra soffice come un
tappeto. Nulla può più dell’amore di una madre e di quello di Gesù, e
dunque amore al quadrato, quello della mamma di Gesù, madre al pari di quella
di Giuda. Neppure la predestinazione alla dannazione di Giuda può più
dell’amore di una madre: «la parte del traditore è toccata a me», con il
termine parte
che sottolinea la teatralità della scena. Anche l’insistito uso del verbo devo sottolinea
la forza della predestinazione, tanto più forte per far poi risaltare, per
contrasto, la forza dell’amore delle due mamme (di Giuda e di Gesù) che
andranno oltre la predestinazione.
In questa poesia compare un altro
tema molto presente in tutta la produzione di Marje Dolores Merenda, cioè il
tema della compassione. Anche i peggiori meritano compassione, i cosiddetti cattivi. E Giuda,
prototipo di cattivo, è qui guardato non con gli occhi di chi lo giudica il
traditore di Cristo, ma con gli occhi di una madre, di sua madre ma anche della
madre di Gesù. Tutti i peggiori sono guardati con compassione dall’autrice:
Caino, chi spara con i kalashnikov, il carnefice, lo sfruttatore, il mafioso.
Il cattivo non è mai veramente dannato, c’è sempre uno spiraglio di salvezza
per lui o per lei.
Il tono dialogico, quasi parlato a
teatro, è ribadito anche graficamente, mediante l’allungamento della a di Giudaa, nel primo
verso. Il fenomeno si ripete poi nell’allungamento vocalico della o di No-oo! detto da
Satana. Con ricercato contrasto tra chiaro (a) e scuro (o), bene e male.
I richiami a distanza, nella stessa poesia e tra diverse poesie, cioè
l’intertestualità, rendono grandi i testi, perché vivi, dialoganti tra loro,
tramati di reti di connessioni (textus,
etimologicamente, è il tessuto, cioè l’intreccio di fili).
L’altra parola chiave della poesia è ultimi.
- Fiori di strada: p. 42. In questa poesia, l’elemento
della natura si fonde con l’elemento degli ultimi fin dal titolo: fiori e di strada. E i
due elementi si alternano e si intrecciano lungo tutta la poesia, dedicata al
dramma della prostituzione, specialmente quella giovanile e migrante. Evidenti
le contrapposizioni, acqua e aride, fresca e lordati. E alla
fine torna la parola chiave mamma, già prima
anticipata da figlie
di Dio. La natura è dunque il conforto offerto dalla madre alle figlie
martoriate e vilipese. E, come vedete, i nostri 4 elementi cooperano tutti alla
costruzione del testo poetico: Dio, bambini, natura, ultimi.
- Nell’orto degli ulivi: p. 54. Ritorna lo scenario di
Giuda, sebbene non nominato qui direttamente ma evocato dall’orto dei
Getsemani. Ora a dominare la scena è il Gesù morente, dunque figlio e figura di ultimo,
e tutti gli elementi della natura sono strumenti della sua morte e redenzione: orto, ulivi, frusta,
terreno, aria, sudore, sangue, monte, polvere, aceto, spine. Un po’ come
accade in tanta iconografia pittorica (per esempio in quella umbra), con gli
strumenti della passione ben in vista già nel gioco di Gesù bambino, che,
sincreticamente, è bambino, uomo, morto e risorto al contempo, in quanto tutto
già previsto dal disegno divino. Anche qui dunque tornano tutti e quattro gli
elementi. L’elemento del bambino, del figlio, è ribadito dalla presenza della
madre, Maria,
che assiste alla morte del figlio.
- Il risveglio della sirenetta: p. 74. Si tratta della mia poesia
preferita, per la densità semantica, l’alta caratura emotiva e l’afflato
sociale. La fede in Dio è qui chiaramente un tutt’uno con l’amore per la natura
e per l’uomo. La poesia si apre con la parola Mamma, ripetuta.
È dunque un altro dialogo madre/figlio, stavolta figlia bambina, la sirenetta.
Bambini e natura, dunque, come nostri Leit Motive,
compaiono fin dal titolo. Ecco dunque i pesci (strani, perché senza né pinne né
coda: dunque animali, reietti, ultimi, altro Leit Motiv, come
evidente nel presieguo della poesia). A proposito della sintonia tra l’uomo e
la natura, l’elemento centrale per eccellenza di questo poesie, il primo dei Leit Motive, come
ho detto, c’è qui una spia fraseologica preziosa. Scusate, ma il mio mestiere
di linguista mi induce a non considerare quasi mai come casuali i fatti di
forma e a ricondurre anche lo stile sotto l’egida della grammatica, cioè delle
risorse comunicative che la nostra lingua, come qualunque lingua umana, ci
mette a disposizione. Qui non è, come prevedibile, la Sirenetta che si rotola
nell’acqua, ma il tratto semantico (il sèma, come si
chiama tecnicamente) dell’umanità si riverbera all’acqua: è l’acqua che «le si
rotolava dolcemente sul dorso». Qui, oltre al dialogo esplicito tra la mamma e
la sirenetta, c’è quello implicito, dell’uomo con la natura, cioè della bambina
pesce con l’acqua, elemento vitale per antonomasia.
Anche l’uso ribadito del che polivalente
(cioè a metà strada tra relativo e causale: «ché le piaceva scorrazzare», «ché
molti ne custodiva») è spia di avvicinamento al parlato, cioè all’essenza della
lingua, a una lingua senza fronzoli, diritta all’essenziale, all’acqua della
vita.
Nella seconda parte della poesia, gli
elementi della natura si fanno cruenti, perché sono un tutt’uno con i crimini
dell’uomo: ecco dunque che dai «pugnetti stretti stretti» dei bambini migranti
morti ammazzati si passa al vento, al sangue, alla sabbia del deserto. Ma poi
subito ancora ad elementi vitali, sempre della natura, che contrastano con la
morte: e allora il deserto africano è un «soffice tappeto per i primi passi
incerti di bimbi», ecco che compaiono le «gazzelle» che giocano con quei bimbi.
Insomma, dalla sintonia uomo natura, si passa alla distonia prodotta dal
sangue, causato dall’uomo, e poi di nuovo alla sintonia tra bimbi e natura,
che, quand’anche impervia (deserto), diventa
madre che gioca con i suoi figli. In altre parole, è l’uomo occidentale
che trasforma la natura in matrigna (distonica con l’uomo), laddove la sua
essenza intima è quella di essere sempre natura madre (in sintonia con l’uomo).
Non vi sarà sfuggito che il riferimento alla terra soffice come un tappeto ritorna
dalla Mamma di
Giuda: è uno di quei preziosi riferimenti intertestuali di cui parlavo
poc’anzi. E l’elenco degli elementi sintonici della natura continua con i
tramonti, le oasi, le palme, le capanne, ecc. Lo stretti stretti,
poco sopra evocato per i bambini, qui passa ora all’inumano stipamento dei
migranti sui barconi della morte. E qui ancora, per colpa degli uomini avidi,
ecco che la natura si fa cattiva, distonica, matrigna: col sangue e la «notte
senza luna e senza stelle».
Ma la mamma non può rivelare l’orrore
della morte alla figlia, ed ecco dunque che torna la sintonia, stavolta sognata
o artefatta ad
usum filiae, un po’ come nella Vita è bella. E
dunque i bimbi non sono morti ma addormentati e i loro occhi sono chiusi «per
trattenere i sogni». Ed ecco il profumo del pane
e i giardini verdi.
E l’ultimo sintagma della poesia è tutto proiettato verso il futuro: l’anima libera. Una
poesia che si apre e chiude sul bene: mamma e libertà dell’anima,
passando per i mali del mondo, in un continuo alternare tra sintonia e distonia
con la natura, in cui, tuttavia, il male, la distonia, non è insito nella
natura, sibbene nell’uomo, che riesce, a volte, a distorcere la stessa natura.
Eppure la fede di Marje Dolores Merenda è tale da vedere, alla fine del male,
il bene, il trionfo della sintonia, nel tradimento di Giuda tanto quanto nella
morte dei migranti.
Questa poesia, come si vede, tocca un
tema sociale fortissimo e potrebbe sembrare distante dagli altri componimenti
di Merenda. In realtà, il Leit Motiv degli
ultimi si coniuga spesso con temi sociali e politici nell’intera opera
dell’autrice. Basti pensare a titoli come Presidente, hanno
ammazzato mio figlio!, o Il pianto di Abele,
o Il pane dei
fratelli, o ancora I nuovi poveri, o
soprattutto A
Falcone e Borsellino e molti altri. Anzi direi che, a ben guardare, i temi
cruciali della contemporaneità non sono mai veramente disgiunti dalle poesie di
Marje Dolores.
Le epigrafi delle raccolte. La chiave di lettura che vede nella
natura l’elemento centrale di queste poesie è stabilita esplicitamente dalla
stessa autrice, oltreché nelle stelle del titolo (ballando con le
stelle indica proprio un rapporto di assoluta sintonia, a mo’ di abbraccio
armonico, tra uomo e natura), nelle tre citazioni in esergo alla nuova e alla
vecchia raccolta: «Il cielo e le stelle, i fiumi ed il mare, le montagne, gli
alberi ed i fiori, la natura tutta hanno una voce ed un’anima e...
narrano la storia dell’universo» (p. 9). E poi ancora, a p. 25, l’esergo di
Martin Luther King. All’inizio della vecchia raccolta, l’esergo di San Bernardo
di Chiaravalle, a p. 98. Tre epigrafi tutte dedicate alla natura come chiave di
vita e di lettura per queste poesie.
E poi, dalla vecchia raccolta:
- I nuovi poveri: p. 118. Qui gli ultimi sono al
centro, ma la natura si intreccia, con un gioco di analogie e metafore, col
tema cardine: ecco dunque al quinto verso, che i nuovi poveri sono «come
cespugli ai margini delle strade». Qui viene rivitalizzata una catacresi, vale
a dire una metafora ormai morta, talmente è cristallizzata nella lingua: quella
della marginalità, dell’essere non al centro ma messo da parte, appunto «ai
margini delle strade» (i cespugli, un po’ come i fiori di strada
di cui sopra). E ancora, nella quarta strofa, tornano, in un’altra analogia,
gli stessi elementi della natura caratteristici delle epigrafi sopra
commentate: rocce,
acqua e vento. E torna,
nel prosieguo della poesia, l’altro elemento centrale, quello dei bambini, dei
figli, stavolta in un modo insolito e, direi, militante: la pediatra Marje
Dolores, e soprattutto la credente Marje Dolores, sa come conti poco la
genitorialità genetica, e conti molto più quella del cuore e dell’amore: «sono
tutti figli i bimbi della strada». E ancora tornano altri elementi della
natura, a connotare in analogie e metafore l’intima povertà dei nuovi ricchi:
l’arcobaleno, il prato verde, e soprattutto un altro sintagma chiave di questa
raccolta poetica: «il profumo delle viole», che darà il titolo a una poesia
successiva. E poi ancora l’acqua, i pulcini, le spighe, le rane, la quercia, la luce, l’odore della terra
lavorata, il raccolto.
E infine anche qui, come per Il risveglio della
sirenetta, la poesia è conclusa dalla parola anima.
- Il profumo delle viole: p. 130. È questa la poesia
preferita dall’autrice, com’ebbe ella stessa a dichiarare a Uno mattina nel
2005. Qui la natura domina dal titolo alla fine. E, congiuntamente, nella
natura sono inseriti i bambini e gli ultimi: gli ammalati, i vecchi, le
prostitute (ragazze
in vendita), i mendicanti,
ma anche i filosofi
e gli scettici,
i governanti e
i signori della
guerra, che sono, per così dire, fatti ultimi non dagli altri ma da sé
stessi. E torna la parola chiave tappeto: «morbido
tappeto di nuvole bianche». Compare anche la parola che dà il titolo alla
raccolta: stelle.
Ma l’uso linguistico qui più rilevante è l’anfibologia, il doppio e
contrastante uso dell’aggettivo sostantivato rosso: prima
evocato a metafora negativa di sangue, in contrasto con «il pane caldo per
tutti», e poi a metafora di vera essenza della vita, insieme col verde, nella
conclusione della poesia: «il rosso dei papaveri nei campi verdi a primavera».
- Poesia: p. 156. La centralità della natura
è dimostrata dal fatto che la natura diventa poesia: tornano tutti gli elementi
già incontrati nelle altre poesie (la rugiada, le nuvole, l’arcobaleno). La
parola conclusiva è morte,
ma contrastata dalla vita.
- Foglie secche: p. 232. Anche in questo caso, un
elemento della natura dà il titolo alla poesia. Oltre ai casi già commentati,
ciò accade in molte altre poesie della raccolta: All’alba, L’allodola,
L’Aquila, Tempesta, Rondini, Tramonto, La pioggia, Autunno, Due stelle nel
cielo ecc. Qui il male e la sfiducia sembrano dominare la poesia, fin
dall’assenza di vita nelle foglie secche del titolo. Eppure, con l’ottimismo
vitale che è la vera essenza poetica di Marje Dolores Merenda, alla fine è la
vita a trionfare, e quelle stesse foglie secche diventano, pur nella disperazione
(disperatamente),
veicolo vitale (vivo
con loro). Linguisticamente, spicca il fatto che le foglie, un tutt’uno con
le speranze grazie all’analogia iniziale, non vengono più nominate, ma solo
richiamate da pronomi. In questo modo, noi non possiamo sapere se il loro conclusivo
si riferisca alle foglie
o alle speranze:
evidentemente, ad entrambe.
- Se mi cerchi: p. 244. L’elemento linguistico che
più mi attrae è proprio il titolo, ancora una volta anfibologico: sia ipotetica
senza apodosi, sia sostantivo (semicerchi). Non
so se il secondo senso fosse voluto dall’autrice, ma non importa: in quanto
lettore, sono sempre autorizzato a cooperare alla costruzione di senso,
soprattutto in un testo scarsamente vincolante come quello poetico (il lettore
è sempre coautore del testo: lector in fabula,
secondo Eco; e la poesia è sempre di chi la legge, più che di chi l’ha scritta,
come sostiene Skarmeta/Troisi, nel Postino). I
semicerchi sono l’io e il tu della poesia, che insieme completano l’unità
sintonica, il cerchio, appunto. E così, scusate il gioco di parole, si chiude
il cerchio sulla dialogicità di queste poesie, con la quale ero partito. L’Io e
il Tu della poesia sono, sì ovviamente, l’autore e il lettore, ma sono soprattutto,
a un livello di interlocuzione più profondo, l’uomo e la natura. E la natura è
l’unica in grado di chiudere il cerchio. Infatti, l’apodosi, la reggente,
ellittica nel titolo, si manifesta fin dal secondo verso della poesia e poi in
tutti i versi fino all’ultimo: se mi cerchi... mi vedrai..., volerò..., sarò... ecc.
Molte altre, naturalmente, sono le
poesie ricche di spunti e meritevoli d’analisi linguistica, in questa ricca
raccolta. Ma credo che le nove da me commentate abbiano reso a sufficienza
l’idea dei temi cardine della poetica di Marje Dolores Merenda e possano dunque
fungere da falsa riga per l’interpretazione delle rimanenti quarantadue poesie.
Marje Dolores Merenda
Chiusura dei lavori:
Ringrazio sentitamente la Professoressa
G. Prestipino, Dirigente scolastico dei Licei La Farina e Basile, il Prof.
Fabio Rossi, Prof. Ordinario di Linguistica Italiana dell’Università di Messina,
per la disponibilità, la squisita sensibilità e l’entusiasmo coinvolgente
con cui hanno presentato il mio libro “Balla ancora con le stelle”.
Voglio ringraziare ancora la
carissima E.Colicchi, Prof Ordinario di Pedagogia dell’Università di Messina,
la prof.ssa Giovanna Lo Giudice, Anna Maria Gammeri dirigente dell’Istituto
Superiore Bisazza, Linda Iapichino, la Preside Prof. Quattrocchi, le insegnanti
Lilli Ieni, Elia Giusto, Loredana Currò, e tutti gli altri insegnanti
dell’istituto comprensivo di Gravitelli, Passamonti- Paino, che da anni mi
danno la grande opportunità di incontrare tanti dei loro alunni. Mi piace
farvi sapere che alla scuola elementare Passamonti, sulla strada tracciata
dalla professoressa Prestipino, esiste una bellissima scuola di lettura
dove ogni giorno si trasmette ai bambini l’amore per la lettura con la semplicità
e la passione che a volte, anche da sole, in maniera sorprendente, possono
bastare a realizzare progetti straordinari.
Ringrazio l’architetto Giusy
Tomaselli che ha illustrato la copertina con grande originalità, Sophie
Stockbridge che ha curato la traduzione in inglese, la giornalista
A.M.Crisafulli Sartori e tutti i giornalisti presenti, il direttore della
Gazzetta del Sud, Dottor Notarstefano, il dottor Nino Calarco, l’avv. G.
Santalco. Ringrazio ancora il prof. Mario Gugliuzza che cura la lettura dei
miei testi su you tube e ci regala tante emozioni con la sua bellissima voce.
Ringrazio moltissimo tutti voi per
essere intervenuti così numerosi. Sono davvero onorata della vostra
partecipazione affettuosa ed entusiasta, della vostra stima ed amicizia che
apportano il calore giusto e necessario per rendere questa serata
particolarmente piacevole e preziosa.
Grazie anche a mio marito
e ai miei figli che hanno corretto le bozze di questo libro e alla mia famiglia
che costituisce la mia simpaticissima tifoseria personale.
Bernard de Fontaine, l’abate francese
di Clairvaux, scrisse: “troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le
rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”.
Ho provato ad osservare e ad
ascoltare. La bellezza e la coralità della natura hanno un’anima che rimane
viva e giovane nel corso dei secoli. Se sai ascoltare diventano voce, la voce
magica narrante dell’universo.
Il canto degli uccelli, il fruscio
delle fronde mosse dal vento, l’odore della terra dopo la pioggia, i colori
accesi ed i profumi intensi della nostra isola, perfino il rumore silenzioso
dei fiori che si piegano sugli steli e dei petali che si schiudono, il rumore
dell’acqua che scorre, formano un singolare ed armonioso coro.
L’infinito intersecarsi di sensazioni
ed emozioni che la nostra intuizione riesce a cogliere diventa parola scritta,
o meglio, poesia.
“Balla ancora con le stelle” nasce
dal desiderio di comunicare e condividere la gioia e la forza di queste
emozioni.
E’ una poesia semplice e modesta,
libera, che cerca parole vere e comprensibili, immagini limpide, versi
freschi per un messaggio immediato e diretto affinché chiunque possa leggere
senza fatica e trarne un po’ di serenità, la gioia di correre a piedi nudi
sulle nuvole bianche fino a giungere alla sorgente della luce, fino a scoprire
il profumo delle viole ed il rosso dei papaveri nei campi verdi a primavera. E’
un invito a volare con la fantasia dentro le nuvole, sulle onde del mare
e con il vento gioioso della vita. Ballare con le stelle sulle ali della
speranza può aiutarci a superare le esperienze difficili e le molteplici ansie
della vita.
Sono convinta che soprattutto oggi,
nel nostro tempo caratterizzato dalla solitudine e dalla mancanza di dialogo,
la poesia possa farsi interprete di una nuova forma di realismo e diventare
strumento di comunicazione emotiva straordinariamente efficace, capace di
svolgere anche una funzione sociale perché tutti abbiamo un grande bisogno di
sperare e credere.
Si dice che Diogene girasse con una lanterna
per cercare un amico, io credo che la poesia riesca a fare molto di più e
questo splendido pomeriggio di amici certamente lo conferma.
Grazie tante per avermi
dedicato il vostro tempo.
Gazzetta del Sud Sabato 9 Giugno 2018 pag. 21
Arte, fede, poesia, musica e cultura a Messina
Presentata a Palazzo dei leoni la silloge della pediatra-poetessa
Il Canzoniere d'amore di Marje
Dolores
Gli interventi della dirigente scolastica Pucci Prestipino e del Prof. Rossi
Anna Maria Crisafulli Sartori
Ascoltare le voci della natura,
penetrare la sua anima, cogliere la bellezza delle piccole cose, comunicare
ogni sensazione, ogni pensiero con un linguaggio diretto, che consenta alla
poesia di svolgere la sua funzione sociale. Questo l’atteggiamento di Marje
Dolores Merenda, pediatra, autrice di favole e di poesie, mossa dalla volontà
di condividere col prossimo la propria visione positiva, gioiosa della vita,
pur nella consapevolezza del male che è nel mondo, e di dare, con la sua arte,
un contributo perché trionfi il bene. “Balla ancora con le stelle - Dance again
with the stars” (in copertina il disegno dell’arch. Giusy Tomaselli), la sua
più recente silloge poetica bilingue, che è stata presentata nel Salone degli
specchi di Palazzo dei Leoni, si colloca in questo solco e si collega all’altra
“Balla con le stelle” presentata, nell’agosto del 2005, a Uno Mattina Estate di
RAI 1 e in una Università della Nuova Zelanda. Il talento artistico della
Merenda è molto apprezzato dalla prof.ssa Cinzia Donatelli Noble della
BrighamYoung University- Provo, Utah, USA, che firma, anche questa volta, la
prefazione. Un breve, ma incisivo profilo della Merenda è stato tracciato dal
Dirigente scolastico del “La Farina-Basile”, Giuseppa Prestipino, che ha
ricordato, fra l’altro, l’esperienza coinvolgente dell’incontro della poetessa
con gli alunni della scuola “Passamonti”, di cui è stata dirigente, che le ha
dato modo di conoscere <il valore della persona, la sua sensibilità e la
capacità di trasmettere ai piccoli messaggi di forte impatto emotivo>.
Una puntuale esegesi di nove delle
cinquantuno liriche della silloge è stata quella del prof. Fabio Rossi,
associato di linguistica italiana del nostro Ateneo, che l’ha definita <un
canzoniere d’amore>. Ha poi sottolineato il forte legame tra i precedenti
testi narrativi e queste liriche, assumendo quale chiave di lettura la
definizione che Mario Luzi diede di queste poesie <simpatiche >, che
etimologicamente sta a sottolineare <sintonia di affetti, emozioni,
sentimenti>.
A recitare le liriche il Prof. Mario Gugliuzza.
Mentre sullo schermo scorrevano i
versi, il pubblico ha ascoltato dalla voce recitante calda e suadente del prof.
Mario Gugliuzza, liriche intense quale <La madre di Giuda>, testo
<teatrale>, come ben sottolineato dal relatore, sul dramma di due madri,
quella del traditore e quella del tradito, condannate entrambe a soffrire una
pena profonda, ma animate dalla forza dell’amore. Perché anche lo scandaglio
dell’animo di chi ha operato il male conduce la poetessa alla compassione, alla
speranza del perdono. Ed ancora, liriche nate dall’amore per gli ultimi, per
gli esclusi, come <Il risveglio della Sirenetta> che nelle acque che
hanno inghiottito migranti, <più di cento>, chiede alla madre di quali
strani pesci si tratti. Delicata l’immagine che si disegna: i bambini – come se
dormissero, <tengono gli occhi chiusi> <per trattenere i sogni> e
<un pugnetto di sabbia stringono forte nelle manine,/ per ricordare le
proprie radici>. Intrisa di umanità anche <Fiori di strada> sul dramma
della prostituzione. Ed ancora <I nuovi poveri>, dove, attraverso
metafore e analogie- spiega il relatore, continuando nella sua analisi
linguistica- sono messi a fuoco <temi cruciali del nostro tempo>. E,
nonostante tutto,<ognuno di noi ha bisogno di sperare e di credere> ha
detto, infine, Marje Dolores Merenda.
Anna Maria Crisafulli Sartori